Postfazione di D. Cohn Bendit

Che dire del progetto d’integrazione europea proprio quando Lisbona, l’ultimo “sopravvissuto” dei trattati, è entrato finalmente in vigore e mentre la Commissione Barroso II è stata accolta da un Parlamento europeo in cui i grandi gruppi politici si sono esentati da qualsiasi presa di posizione politica formale?
 
Per cominciare, bisogna dire che non esiste un progetto europeo unico che potrebbe essere un archetipo al quale uniformarsi, ma piuttosto delle visioni concorrenti più o meno compatibili. Per circa mezzo secolo, la legittimità della costruzione europea non è stata messa in discussione. Assicurare la prosperità economica e la pace durevole: questa era la sua funzione principale. Un obiettivo eminentemente pragmatico che supponeva nondimeno di superare i rancori e le ferite del passato rinunciando ai vecchi riflessi egemonici.

Possiamo dire, quindi, che queste due dimensioni hanno contribuito alla costruzione dell’edificio europeo. Da un lato, vi era ben inteso l’interesse degli stati usciti esangui da due guerre, alcuni dei quali cominciavano a subire la fine dei loro imperi coloniali. Dall’altro, la capacità dei dirigenti politici di proiettarsi in uno spazio politico comune inedito associato alla volontà di riconciliarsi, di imparare a darsi fiducia reciproca e a governare insieme.

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