Vecchia storia quella dell’Europa che non c’è, dell’Europa che non emoziona e non è nel sentire comune dei cittadini. Vecchia storia quella del continuare a essere solo francesi, tedeschi o italiani. Il dato di fatto è che l’Unione ad oggi esiste solo nell’economia; l’approccio funzionalista che ha guidato i processi comunitari di questi anni non è mai stato superato da quello politico. I cittadini non si sentono partecipi della politica dell’Unione verso la quale si manifesta spesso indifferenza, o talvolta aperto dissenso come nei casi di Francia, Olanda e Irlanda. Di questo e di altro si è parlato alla Passeggiata Libro Caffè in occasione della presentazione di Europa 2.0, volume a cura di Nicola Vallinoto e Simone Vannuccini, edito da Ombre Corte, che si è avvalso della collaborazione di svariati scrittori, politici e intellettuali come Vittorio Agnoletto e Giovanni Allegretti solo per citarne due. Per l’occasione ospite d’eccezione è stato l’europarlamentare del PD Sergio Cofferati, invitato ad esprimere il punto di vista della politica istituzionale nell’acceso confronto con le forze della società civile.
Il titolo Europa 2.0, preso in prestito dalla terminologia informatica, non è stato scelto casualmente dagli autori ma, come nel linguaggio tecnico dei computer, anche in questo caso identifica l’idea di cambiamento. In che direzione cambiare? Come spiegato da Nicola Vallinoto “a cambiare deve essere l’approccio della politica. Le regole costituzionali, teatro dei principali insuccessi dell’Unione in questi anni, devono essere condivise e discusse dal basso con le forze vive della società civile”. Tuttavia su questo tema si è spesso registrata l’ostilità della classi politiche, restie a cedere potere contrattuale e rappresentanza in favore di soggetti non istituzionali, come quelli della variegata galassia della società civile. L’idea di Cofferati in proposito è sembrata del tutto chiara: “Ho grande considerazione della società civile ma non cadiamo in facili buonismi. Dalla mia posizione sono disposto a cedere parte della mia sovranità politica, ma solo in favore di soggetti che siano altrettanto rappresentanti di una determinata realtà. La partecipazione dei cittadini è ben accetta ma nei limiti in cui sia organizzata e soprattutto legittima. Non tutte le manifestazioni provenienti dalla società civile sono all’altezza di questa sfida”. Propositi che non fanno sorridere del tutto i simpatizzanti dei movimenti e coloro che lavorano con l’eterogeneo mondo dell’associazionismo. Quali infatti i criteri per decidere chi sia sufficientemente rappresentante da essere preso in considerazione dalle forze politiche istituzionali? La risposta non appare ancora chiara, mentre l’autoreferenzialità della politica continua a manifestarsi lampante anche nelle forze che, almeno in teoria, dovrebbero rappresentare la faccia progressista.
L’Unione di oggi non è un organismo “politico”. Non decolla una linea comune in politica estera, spesso subalterna a quella degli Stati Uniti o espressa in forme di free rider come quelle assunte dalla Francia, o ancor più di recente dal governo Berlusconi. Ma c’è di più nel momento di difficoltà dell’Europa; basti pensare al problema ambientale, che da anni i governi europei cercano di imporre come questione nelle agende politiche di Cina e Usa nella speranza di poter vincolare le due grandi potenze a politiche di eco-sostenibilità. La recente Conferenza di Copenaghen ha dimostrato tutta la debolezza dell’intermediazione delle forze europee.
A questa situazione si aggiunga la perdurante assenza di partecipazione dei cittadini. Come sottolineato da Vallinoto occorre “dire basta a un’Europa costruita dall’alto; è l’unica ricetta per sentirsi europei e per affiancare alle decisioni della politica l’indispensabile sostegno delle forze produttive della società civile”. Un’Unione che, ancora una volta, si muove a più velocità con processi di unificazione differenziati.
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