venerdì 28 maggio 2010

Costruire dal basso lo spazio pubblico europeo

Anticipazione dal volume collettivo "Europa 2.0 prospettive ed evoluzioni del sogno europeo", Nicola Vallinoto e Simone Vannuccini (a cura di), ombre corte, Verona, maggio 2010.

Costruire dal basso lo spazio pubblico europeo

di Raffaella Bolini*

Nel 1910 le suffragette inglesi venivano arrestate durante le manifestazioni per il voto alle donne davanti ai cancelli della House of Commons. Ancora negli anni Sessanta sopravvivevano i domini coloniali europei in Africa. I regimi in Europa orientale hanno resistito fino al 1989, e l’apartheid un po’ di più. Nessuno può negare che nell’ultimo secolo la democrazia abbia fatto in tutto il mondo grandi passi avanti. C’è più quantità di democrazia, ma a ciò corrisponde nell’epoca odierna un abbassamento della sua qualità. C’è meno partecipazione al voto, meno fiducia nella classe politica. L’economia mangia la politica, la privatizzazione erode il pubblico, la globalizzazione erode lo stato e la democrazia delle istituzioni internazionali non è ancora stata inventata. Marylin Taylor, dell’Università del West England, la chiama “contraddizione democratica”.

La vittoria dei no ai referendum sul Trattato Costituzionale ha dato un potente contributo ad aprire la riflessione. È vero, come ha scritto Giuseppe Allegri, che lo strumento referendario in sé – a conclusione di un processo difficilmente rapportabile a una dimensione autenticamente
pubblica e democratica – certo non era lo strumento più idoneo a manifestare la volontà delle cittadinanze. Le società europee sono complesse, frammentate e pluralistiche, mentre la scelta referendaria presuppone la riduzione brutale delle scelte, dell’articolazione del dibattito e delle differenze. In ogni caso, la delegittimazione del processo costituente è stata forte e chiara e le istituzioni comunitarie hanno dovuto avvertire volenti o nolenti la distanza che le separa dai cittadini in carne ed ossa. Si è materializzato il timore delle popolazioni per un livello istituzionale
ritenuto meno controllabile delle pur indebolite democrazie nazionali, oscuro nell’incidenza sulla vita quotidiana, rappresentato nei fatti da imposizioni dall’alto, subalterno ai poteri forti della globalizzazione e complice nella distruzione delle garanzie sociali conquistate a livello nazionale.

A seguito dello choc referendario, mentre i governi trovavano le scorciatoie per non far arenare il percorso del Trattato, in alcuni settori della stessa Commissione europea si è aperta una riflessione inedita. Ha interrogato in modo critico anche organizzazioni della società civile che giocano la partita dentro le istituzioni, nei ristretti spazi consentiti e concessi. Si è dovuto ammettere che per troppo tempo la relazione con i cittadini è stata intesa come puro e semplice impegno per l’informazione sulla vita delle istituzioni europee. E che tante esperienze non governative si sono prestate per anni a questo equivoco, intorno al quale sono state investite risorse e si sono costruiti meccanismi di cooptazione. Ma tanto più si allargano gli ambiti di competenza dell’Unione europea, tanto più ci si avvia verso l’unione politica e non solo monetaria ed economica, tanto più appare evidente che il deficit democratico è cosa seria, e ha a che fare con la base costituente dell’Unione.

Continua nel libro.

* RAFFAELLA BOLINI, Responsabile internazionale dell’Arci. È attivista dagli anni Ottanta nei movimenti per la pace, per la solidarietà internazionale, contro il razzismo, per la giustizia globale. Impegnata nell’organizzazione del Forum Sociale Europeo e Mondiale. Vicepresidente del Forum Civico Europeo. Siti: www. arci.it; www.forumsocialmundial.org.br; www.fse-esf.org; www.civic-forum.fr.

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