lunedì 10 maggio 2010

L'Europa e diritti degli altri

Anticipazione dal volume collettivo "Europa 2.0 prospettive ed evoluzioni del sogno europeo", Nicola Vallinoto e Simone Vannuccini (a cura di), ombre corte, Verona, maggio 2010.

L’Europa e i diritti degli altri

di Deborah Lucchetti*

“Mi sento così male e stanca dopo un giorno di lavoro che non vorrei più lavorare il giorno successivo. Ma la fame non mi permette di pensare al malessere, il pensiero di vivere con la pancia vuota annulla tutti gli altri pensieri. Noi lavoriamo per salvare noi stessi dalla fame”. A parlare è una donna lavoratrice di una fabbrica tessile del Bangladesh che fornisce Wal-Mart e Carrefour, una donna fra i tanti milioni di invisibili che consentono ogni giorno alla macchina produttiva globale di non fermarsi; quello che produce insieme a cento milioni di lavoratori asiatici impiegati del settore tessile, serve direttamente i nostri scaffali e probabilmente non lo potrà mai indossare; produce per il mercato europeo, per le imprese europee, per i consumatori europei.

In questa frase che è testimonianza non di un triste destino individuale ma di una storia sociale di classe che riguarda milioni di donne, uomini e minori nel mondo, si racchiude tutta la pesante contraddizione che attanaglia il nostro Vecchio continente, proteso e conteso tra una visione di un’Europa democratica basata sui diritti umani fondamentali universali e una invece sbilanciata verso un’Europa di mercato piegata agli interessi delle grandi imprese.
Secondo una recente ricerca condotta negli Stati Uniti su 2.508 imprese, una minoranza di imprese pari al 28 per cento (di cui il 45 per cento appartenente al mondo delle grandi) ha adottato politiche per i diritti umani e del lavoro mentre solo il 15 per cento ha prodotto un vero e proprio codice di condotta per i propri fornitori. In Europa il dato aumenta visto che il 43 per cento delle imprese hanno politiche in materia di responsabilità sociale contro il 23 per cento degli Stati Uniti; ma le percentuali scendono sotto il 6 per cento quando si tratta di valutare i contenuti e l’efficacia di tali politiche, per esempio attraverso l’adozione delle Convenzioni OIL e l’utilizzo di sistemi di monitoraggio e concreta applicazione degli standard lungo l’intera filiera produttiva. Osservando meglio, ci si rende conto che la prevalenza delle imprese che adottano politiche di protezione dei diritti umani e del lavoro sono quelle operanti in settori molto esposti agli abusi o molto presenti nei mercati di largo consumo; segno di quali meccanismi spingono le multinazionali ad occuparsi dell’impatto sui diritti umani della loro produzione.

Dieci anni di politiche liberiste applicate al commercio internazionale hanno favorito una ristrutturazione dei mercati e delle imprese che ha portato ad una nuova geografia globale. L’abbattimento progressivo delle barriere tariffarie e non-tariffarie promosso dall’Organizzazione Mondiale del Commercio ha fertilizzato il terreno per la massima circolazione
delle merci e dei capitali su un pianeta piatto, concepito come una grande piattaforma infrastrutturale finalizzata ad accaparrare risorse, trasformarle e distribuirle secondo logiche di crescente concentrazione e profitto.

Continua nel libro Europa 2.0.

DEBORAH LUCCHETTI, esperta di lavoro e diritti umani, globalizzazione e commercio equo. Presidente di Fair. Coordinatrice della Campagna Abiti Puliti, sezione italiana della Clean Clothes Campaign, coalizione internazionale di oltre 250 organizzazioni che promuove i diritti del lavoro nell’industria tessile globale. Partecipa alla Rete Lilliput e prepara il controvertice del G8 del 2001. Ha pubblicato I vestiti nuovi del consumatore (Altreconomia, 2010). Siti: www.abitipuliti.org.

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