Anticipazione dal volume collettivo "Europa 2.0 prospettive ed evoluzioni del sogno europeo", Nicola Vallinoto e Simone Vannuccini (a cura di), ombre corte, Verona, maggio 2010.
Dal capitolo:
Il debito dell’Europa: risarcire l’Africa
di Raffaella Chiodo Karpinsky*
L’isola di Gorée è parte severa e incancellabile della nostra storia. Per noi europei, dalla parte del torto. Non c’è scampo. C’è solo debito. Il nostro. Eppure, a cinquecento anni da quando a Gorée venivano concentrati donne e uomini destinati alla deportazione verso l’Occidente –
prima la selezione, poi il viaggio di sola andata verso la schiavitù –, non c’è alcun riconoscimento e continua lo sfruttamento. Lo sfruttamento di allora e dei secoli a venire, attraverso il quale abbiamo costruito la ricchezza e il progresso per questa parte di mondo. Per l’altra parte, di fatto,
non resta che la condanna a processi di impoverimento. Prima la colonizzazione con le monocolture, poi l’espropriazione delle risorse naturali, dal grano al carbone passando per i diamanti e l’oro ed infine gli aggiustamenti strutturali imposti dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale. Visti gli esiti nefasti che queste organizzazioni hanno prodotto, i loro prestiti sembra non abbiano mai avuto l’intenzione di essere tali, anche se – sotto il segno della crisi petrolifera del ’73 e delle buone intenzioni di quello che avrebbero dovuto rappresentare
gli anni Ottanta, il potenziale “decennio dello sviluppo” –, i loro programmi avrebbero dovuto rendere possibile la ricostruzione delle economie devastate lasciate dagli ex colonizzatori.
A crederci davvero e ad investire risorse realmente consistenti è stata una generazione di importanti leader europei. Personalità della sinistra europea come Olof Palme, Willy Brandt, Altiero Spinelli o Enrico Berlinguer. Una tipologia di politici con una visione responsabile dell’Europa e degli organismi internazionali fondamentali, come le Nazioni Unite, di cui oggi si sente una profonda mancanza. Ma il re è nudo e da tempo. Oggi nessuno lo può più negare che a vincere su quelle visioni solidali ha prevalso ben altro approccio. L’approccio di chi ha inventato il meccanismo perverso del debito estero dei paesi impoveriti, che alla fine dei conti non è stato altro se non un modo per rispondere, più che alle necessità delle economie decolonizzate, alle esigenze delle economie colpite dalle crisi petrolifere degli anni Settanta. Il debito estero è stato ed è ancora in gran parte una fantastica fortuna, un’assicurazione sine die di entrate nelle casse dei paesi ricchi. Infatti estinguerlo nei tempi e nei modi pretesi dalle misure e dalle condizioni imposte era ed è semplicemente impossibile; ripagarlo, invece si che è possibile, e pure diverse volte, con interessi da capogiro.
prima la selezione, poi il viaggio di sola andata verso la schiavitù –, non c’è alcun riconoscimento e continua lo sfruttamento. Lo sfruttamento di allora e dei secoli a venire, attraverso il quale abbiamo costruito la ricchezza e il progresso per questa parte di mondo. Per l’altra parte, di fatto,
non resta che la condanna a processi di impoverimento. Prima la colonizzazione con le monocolture, poi l’espropriazione delle risorse naturali, dal grano al carbone passando per i diamanti e l’oro ed infine gli aggiustamenti strutturali imposti dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale. Visti gli esiti nefasti che queste organizzazioni hanno prodotto, i loro prestiti sembra non abbiano mai avuto l’intenzione di essere tali, anche se – sotto il segno della crisi petrolifera del ’73 e delle buone intenzioni di quello che avrebbero dovuto rappresentare
gli anni Ottanta, il potenziale “decennio dello sviluppo” –, i loro programmi avrebbero dovuto rendere possibile la ricostruzione delle economie devastate lasciate dagli ex colonizzatori.
A crederci davvero e ad investire risorse realmente consistenti è stata una generazione di importanti leader europei. Personalità della sinistra europea come Olof Palme, Willy Brandt, Altiero Spinelli o Enrico Berlinguer. Una tipologia di politici con una visione responsabile dell’Europa e degli organismi internazionali fondamentali, come le Nazioni Unite, di cui oggi si sente una profonda mancanza. Ma il re è nudo e da tempo. Oggi nessuno lo può più negare che a vincere su quelle visioni solidali ha prevalso ben altro approccio. L’approccio di chi ha inventato il meccanismo perverso del debito estero dei paesi impoveriti, che alla fine dei conti non è stato altro se non un modo per rispondere, più che alle necessità delle economie decolonizzate, alle esigenze delle economie colpite dalle crisi petrolifere degli anni Settanta. Il debito estero è stato ed è ancora in gran parte una fantastica fortuna, un’assicurazione sine die di entrate nelle casse dei paesi ricchi. Infatti estinguerlo nei tempi e nei modi pretesi dalle misure e dalle condizioni imposte era ed è semplicemente impossibile; ripagarlo, invece si che è possibile, e pure diverse volte, con interessi da capogiro.
* RAFFAELLA CHIODO KARPINSKY, freelance. Lavora con l’Uisp nel Dipartimento Internazionale. Osservatrice per l’Awepa, l’Ue, l’Onu in Africa e con l’Osce in Russia. Coordinatrice di Sdebitarsi. Tra le promotrici degli Stati Generali della solidarietà e cooperazione internazionale, della “Rete Internazionale delle Donne per la Pace”, membro del direttivo
della Tavola della Pace. Siti: www.radioarticolo1.it; www.womenetworkforpeace.net;
www.perlapace.it; www.peacegamesuisp.org.
della Tavola della Pace. Siti: www.radioarticolo1.it; www.womenetworkforpeace.net;
www.perlapace.it; www.peacegamesuisp.org.
Continua nel libro Europa 2.0 Prospettive ed evoluzioni del sogno europeo
*
Nessun commento:
Posta un commento